Guido Maria Brera, il marito di Caterina Balivo, si racconta in una lunga intervista al Corriere della Sera. Trader e scrittore, il 52enne, mago della finanza, rivela cosa lo unisce alla conduttrice 42enne sposata il 30 agosto 2014 a Capri da cui ha avuto nel 2012 Guido Alberto e nel 2017 Cora (è anche padre di Costanza e Roberto nati da un precedente matrimonio). “Amo il suo saper essere leggera restando una persona di spessore”, confida.
“Mi aiuta usando due armi: sensibilità e capacità di sdrammatizzare”, sottolinea ancora Brera parlando della sua Caterina. Con i loro bimbi è molto rigoroso nell’educazione: “Ai figli ho vietato i videogiochi e imposto di studiare non oltre un’ora e mezza: dopo, fanno attività all’aperto. Devono imparare a studiare in poco tempo perché la vita chiederà di saper fare tutto in fretta”.
“Diavoli”, il suo best seller diventato serie tv e ora alla seconda stagione è un successo mondiale. Guido Maria ammette che scrivere gli è sempre piaciuto, come pure fare volontariato: “Ero un ragazzo con una doppia vita: di giorno, in giacca e cravatta; di sera, mettevo una tuta rossa e andava da Fratel Ettore ad assistere i senzatetto alla stazione di Milano. Quel frate era burbero ma meraviglioso: se esistono i santi, devono essere come lui. Una sera, mi fece inginocchiare e mi affidò alla Madonna. Disse: a lui pensaci te. Io non capii nulla, so che il giorno dopo, due colleghi che diventeranno i miei soci, Paolo Basilico e Roberto Condulmari, mi dissero: ci sarebbe una cosa nuova da fare, si chiamerà Kairos. Mi trasferii a Londra all’istante. Lo racconto per dire che, ai tempi, non mi faceva paura nulla, ero molto forte. Adesso, mi sento fragile”. E aggiunge: “Ora ho una fondazione, ma rivorrei l’equilibrio che avevo da giovane per fare volontariato sul campo”.
Brera parlando della sua vita, svela: “Io ero di Roma Sud. Di San Saba. Famiglia normalissima, papà che lavorava in banca, mamma casalinga. E c’era il mito dei Parioli, di Roma Nord, dove tutti erano più eleganti, parlavano un romano più bello, camminavano meglio. Alla fine, ho cercato il riscatto sociale nella finanza, che è un lavoro molto meritocratico”.
Non ha cercato la finanza e il suo mondo ossessivamente: “Tutt’altro. Volevo fare il ricercatore, amo scrivere, leggere, studiare, ma all’università non c’era posto e la finanza è una sorta di organismo vivente che seleziona i talenti, ti viene a cercare, ti trita, decide se tirarti su o giù. In Fineco, mi diedero da gestire un fondo che risultò il primo d’Italia, e così la finanza mi portò su”. Brera precisa: “Ho guadagnato bene, ma non sono ricco come si potrebbe credere. Da giovane, in effetti, gli stipendi della finanza sono alti: quando passai da Milano a Londra, aggiunsi uno zero. Però la nostra carriera è come quella del calciatore: breve e a parabola. Certo, all’inizio, mi tolsi qualche sfizio”.