E' sempre stato un luogo comune dell'arte al femminile: "bella non può essere anche brava". Dell'arte in senso lato, dal canto alla danza, dallo sport alla politica, in tutti i campi o quasi la donna bella è stata sempre vista come portatrice sana di inadeguatezza, quasi che la natura già generosa, non potesse esagerare anche in altre doti, più pratiche, più intellettuali.
Il team Campione del mondo di pallavolo femminile, sembra aver smentito tutto nell'arco lento e sommesso di una partita estenuante, emozionante e vera, contro le avversarie degli Stati Uniti, battute con un 3 a 2 dal sapore di match d'altri tempi. Le stesse giocatrici che più volte, inconsapevolmente hanno giocato a fare le modelle, riempiendo gli obiettivi di fotografi curiosi; le stesse giocatrici criticate spesse volte per l'uso di pantaloncini troppo succinti, inutili ai fini della gara, esagerati anche ai fini dell'esibizionismo stesso; ebbene, queste giocatrici ora hanno trionfato, elevandosi a campionesse del mondo, a vincitrici assolute, facendo della bellezza una nota decisamente intonata che ben si è accompagnata per una volta all'indubbia classe e bravura mostrata sul campo.
Spavalde, narcise, ingenue, disabituate a tanta gloria, anche antipatiche nella loro sicurezza, nella loro esagerata voglia di mostrarsi. Ma Campionesse. E questo è un dato che difficilmente si cancellerà dalle bacheche storiche. La bellezza forse appassirà, il bondo dei capelli si incupirà, gli stessi sguardi ora fieri e maestosi, tenderanno verso il basso, prima o poi, ma questo titolo mondiale è servito realmente a dare una spinta orgogliosa e decisa al ruolo della donna, al ruolo artistico della donna, troppe volte costretto in rigidi dettami non meritocratici: bella e brava esiste dunque?
Elisa Togut, Paola cardullo, Francesca Piccinini, Valentina Borrelli, Eleonora Lo Bianco, Paola Paggi, Sara Anzanello, Rachele Sangiuliano, Anna Vania Mello, Manuela Leggeri, Darina Mifkova, Simona Rinieri.
Eccolo lo straordinario gruppo di atlete che si è riappropriato del suo valore oggettivo di donna: un percorso che comprende gambe, fondoschiena, girovita, seno, cervello, capacità personali. E che tuttavia non abbandona quello spirito tipicamente femminile che prevede una sensibilità superiore, una dolcezza sicuramente più spiccata, un'ingenuità marcata.
E' la volta allora di Francesca Piccinini e la sua scommessa con il fidanzato: una macchina addirittura. "Ma una cabrio costa troppo, meglio la Mini". Così come Elisa Tonut, eletta migliore giocatrice e che giura di non aver capito nulla di quella elezione fino a quando non gliel'hanno spiegato sul podio. O Manuela Leggeri, in lacrime durante l'inno nazionale prima e dopo la partita, da campionessa e da giocatrice "qualunque". E così via tutte le altre, intervistate da telecamere mai viste prima e che non sanno guardare; da cronisti di cui non conoscono il nome e che non sanno maltrattare come fanno invece i più esperti, antipatici e spocchiosi campioni sportivi maschili.
Belle e brave allora? Il problema è risolto?
Dubitiamo la pensi così anche Maurizia Cacciatori costretta a rimanere a casa ad immaginare solamente tutto questo delirio sportivo, sognarlo, rimpiangerlo, forse chissà, maledirlo. Bella e brava anche lei che proprio per un ultimo disperato appello alla propria bellezza ha dovuto salutare il suo sogno mondiale?
Due anni fa fu infatti scelta come volto (e corpo) rappresentante di una nota marca di biancheria intima e da allora sono cominciati i guai: gossip maligno su preseunti fidanzati e storie d'amore tormentate, viaggi e fughe in capo al mondo, falsità e verità intrecciate in un insolubile filo di dubbi e incertezze. Fino alla definitiva esclusione dalla rosa mondiale che forse si lega con quella sua antica scelta di immagine o forse no ma che tuttavia serve per lasciare ancora insoluto il dubbio amletico con cui abbiamo cominciato questo racconto: si può davvero essere belle e brave nell'universo femminile? Qual'è l'ingrediente della sconosciuta alchimia che può rendere possibile una tale mistura?
Non lo sappiamo e neanche ci interessa per il momento: il peso al collo della medaglia da primi del Mondo è un onere che vogliamo permetterci di sopportare a lungo.