- Stella, 30 anni, adottata a Sarajevo nel 1992, quando lui aveva 35 anni, piange il papà
- “Cosa mi ha insegnato mio padre? A prendere le decisioni con la testa ma anche con il cuore”
Stella lo piange, sa che il vuoto che ha dentro non si colmerà mai. La figlia di Franco Di Mare, morto a 68 anni il 17 maggio scorso a causa di un tumore, al Corriere della Sera ricorda l’amato padre. Rivela che il giornalista è rimasto ironico e divertente fino all’ultimo. “Ci ha fatto sorridere anche la sera prima di andare via”, svela.
Consulente finanziario, Stella, oggi trentenne, è stata adotta a Sarajevo da Di Mare nel 1992, quando lui aveva 35 anni. “Andai in un orfanotrofio di Sarajevo che era stato colpito da una granata - confessò lui in un’intervista a Tv2000 - Presi in braccio una bimba bruna, che istintivamente mi si aggrappò al collo e quello fu l’inizio della nostra storia. Avevo trentacinque anni, ero in un momento particolare della mia vita e Stella mi ha salvato”. Il loro incontro ha ispirato la fiction di Raiuno “L’angelo di Sarajevo” con Beppe Fiorello, tratta dal romanzo del giornalista “Non chiedere perché”. Franco le ha dedicato un libro, “Le parole per dirlo”, in cui ha parlato della sua malattia. “C’è Stella dietro ogni riga che ho scritto, è lei che ha raddrizzato il percorso della mia vita. E adesso, ogni volta che la guardo camminare libera per il mondo, mi commuovo”, ha detto.
La donna al quotidiano del genitore racconta: “Papà fino all’ultimo ha affrontato la vita e le sue difficoltà con ironia. Ci ha fatto sorridere anche la sera prima di andare via”. Riservata, aggiunge: “Cosa mi ha insegnato mio padre? A prendere le decisioni con la testa ma anche con il cuore”.
“Avevo cinque anni, era sera, stavo a casa dei nonni. Ero in pigiama pronta per andare a dormire. Si presentò a sorpresa. Mi fece vestire e mi portò fuori. Destinazione: un cinema dove proiettavano ‘Il Gobbo di Notre-Dame’. L’ultimo spettacolo, quello delle 22.30. In sala eravamo in due: io e lui”, ricorda Stella.
E ancora: “Nel 2012 invece ci siamo fatti quattro chilometri nella neve alta per andare al cinema a vedere ‘Hugo Cabret’. Papà era una persona eccezionale, magari talvolta incostante, ma quando c’era, sempre portatore di stimoli e di esperienze uniche. Con il suo entusiasmo sapeva rendere particolari anche momenti apparentemente normali. Come una gita in barca, mangiando i ricci pescati da lui, mentre ci narrava una storia di mare o, da grande appassionato di cucina, svelava i segreti di una ricetta fatta con amore. Papà sapeva mettere a proprio agio chiunque: per lui esistevano solo le persone, con la loro unicità e la propria ricchezza”.