Niccolò Bettarini, 19 anni, figlio maggiore di Stefano Bettarini e Simona Ventura, parla per la prima volta alla Gazzetta dello Sport dell’aggressione del 2 luglio a Milano. Fuori dalla discoteca Old Fashion, per difendere un amico, si è beccato undici coltellate da un branco di ragazzi, finiti tutti in manette. “Volevano uccidermi, ma lo rifarei ancora e ancora” spiega Niccolò prima di raccontare cosa è successo quella fatidica notte dopo essere uscito dal locale.
“Era ora di rientrare a casa, ma dall’altra parte della strada la mia migliore amica, Zoe, ha iniziato a chiamarmi, urlandomi che stavano picchiando il nostro amico Andrea. Tre ragazzi lo accerchiavano e così mi sono buttato su di loro per difenderlo. Da lì è iniziato il finimondo. È stato un istinto di protezione fortissimo che non avrei potuto reprimere”.
Un gesto istintivo quello di Bettarini che non immaginava di rischiare così tanto: ‘’Se c’è di mezzo un amico, darei la vita per i miei amici. E infatti stavo per perderla, la vita! Sono arrivati altri ragazzi, ci hanno aggredito, anzi ‘mi’ hanno aggredito: ero cosciente, ricordo tutti i particolari, ho sentito che mi avevano riconosciuto e che ‘volevano ammazzarmi’ perché sapevano chi fossi. Erano dieci, ho tentato di difendermi e parare i loro colpi. Mi ricordo di essere caduto a terra a un certo punto e Zoe si è buttata sopra di me per proteggermi da quella furia di violenza. Non si sono fermati, l’hanno riempita di calci: loro volevano la mia vita, mi era chiarissimo. Sono tutte persone che hanno un passato di crimini e risse”.
Una vicenda che lo ha segnato nel corpo, ma non solo: ‘’Ho visto i miei familiari straziati per quello che mi è accaduto, hanno avuto paura di perdermi. Ho giurato a me stesso che non voglio mai più che loro provino questa maledetta sensazione''.
Simona Ventura non era a Milano e Niccolò ricorda ancora la telefonata con sua mamma: “Più che delle parole ho sentito un pianto liberatorio. E più che dolore ho sentito un sollievo, la gioia di parlarmi prevaleva sul resto. Vedermi poi l’ha rassicurata, so che ha passato delle ore terribili, a pensare al peggio che poteva accadermi. È stata malissimo e questo mi strazia. Mio padre non si era mai fatto vedere piangere in tutta la nostra vita insieme, appena è entrato in ospedale non è riuscito a trattenere le lacrime. L’ho sempre visto come un uomo forte, per la prima volta mi è apparso fragile. Ma questa esperienza ci ha avvicinato ancora di più”.
Adesso Bettarini Jr. guarda avanti e sogna un futuro di successo da difensore della Triestina, nel calcio come il papà: ‘'Questo è il mio sogno, grazie anche a mio padre che mi ha trasmesso la passione per questo meraviglioso sport pieno di valori: lo spogliatoio, il rispetto per il prossimo, la voglia di aiutarsi a vicenda. Questo è uno sport che ti forma nel carattere. Ci sono momenti belli come bui, esattamente come nella vita. Mio padre non mi ha mai voluto forzare nel calcio dicendomi che ognuno deve fare ciò che ama. Ero intimorito dal confronto con lui all’inizio, poi ho capito che era uno stimolo per dare di più e dimostrare chi fossi al di là del mio cognome”.