- Il cantautore 33enne racconta tutto in un docufilm, “Ragazzi Madre - L’Iliade”
- “Ero circondato dai cattivi esempi, 50enni pluripregiudicati che per me erano qualcosa di simile a un padre”
Achille Lauro racconta la sua vita complicata e i suoi 10 anni di carriera in un docufilm, Ragazzi madre - L’Iliade, da oggi, 14 dicembre su Prime Video. Il cantautore ripercorre gli anni trascorsi in “una comune” alla periferia di Roma col fratello e fa una confessione che lascia di stucco. “Andavo a rubare al supermercato, tornavo con 5-600 euro di roba”, dice.
Il rapporto mai avuto col padre l’ha inevitabilmente segnato. “Sono una persona molto riservata, ma a 13 anni non decidi di andartene di casa”, dice. Invece lui lo ha fatto. E’ stato allontanato dalla famiglia.
“Volevo i soldi che non avevo mai visto, le cose che non avevo mai fatto – racconta Lauro - Le prime volte, mi ricordo, a 14 anni mi sentivo ricco con 50 euro. Quando li avevo in mano fu tipo la prima sco**ta. Quello fu il concepimento. La roba che vendevamo fecondava le strade”.
“Vivevo con persone più grandi, artistoidi, delinquenti, figli di nessuno – rivela Achille - A 15 anni sono stato cresciuto da cinquantenni pluripregiudicati che per me erano qualcosa di simile a un padre. Oltre al contesto marcio, razzista e omofobo, tutto il peggio del peggio descolarizzato, senza cultura, era anche un ambiente pericoloso con gente e persone pericolose. Chiaramente ho iniziato a delinquere molto presto, ero veramente piccolo andavo a rubare al supermercato con due cestini uno lo prendevo con la mano l’altro lo facevo passare sotto la cassa e lo spingevo col piede e riempivo le buste un po’ da sopra e un po’ da sotto, tornavo con 5-600 euro di roba. Per noi era la nostra festa! All’inizio non avevo paura di perdermi perché ero un incosciente e anche stupidamente compiaciuto”.
Con un colpo di fortuna arriva la svolta: “Quando sei giovane pensi di essere invincibile mentre se oggi dovessi parlare con un ragazzo di quel mondo gli direi di fare attenzione perché il burrone è lì davanti a te. Molti miei amici hanno avuto problemi seri con la legge e non solo e la cosa peggiore, oltre a trovarsi faccia a faccia con la morte, è stata rendermi conto che non volevo diventare come le persone che mi avevano cresciuto. Mi sono spaventato di non avere un posto nel mondo, di essere nulla. Questo mi ha spaventato più della violenza. Ad un certo punto ho detto: ‘Sto diventando ciò che non voglio diventare‘. Così ho iniziato a scrivere, mi faceva stare bene perché sfogavo così alcune difficoltà”.
La musica lo ha salvato: “Ho capito che non volevo diventare come le persone che mi avevano cresciuto e mi sono costruito il successo. Ho guardato la musica dal punto di vista imprenditoriale”. Sta per andare a Los Angeles, dove rimarrà per i prossimo sei mesi. Oggi è impegnato in tante attività benefiche e va nelle scuole a parlare ai ragazzi. “Credo sia l’ambiente che fa i ragazzi e dunque le canzoni sono una conseguenza dell’ambiente. La musica a volte è influenzata dalle mode, ma è soprattutto una fotografia della realtà in cui viviamo - chiarisce l’artista - Dovremmo ripensare all’ambiente dove crescono i ragazzi, per molti di loro la musica è un passaporto per cambiare vita. Cercano riscatto sociale dopo essere stati esclusi. A Milano vedo grande disparità sociale, la bolla della Fashion Week e poi quartieri desolati. Questo fa sentire i ragazzi soli e dovremmo ripartire da lì”.