- La 39enne in una lettera nega: “Credo di essere innocente. E lo sosterrò con forza nel giudizio di appello”
- Risponde alle accuse dell'imprenditore Antonello Ieffi, la ‘vittima’ che l'ha denunciata
Tamara Pisnoli non ci sta. L’ex moglie di Daniele De Rossi, condannata dal Tribunale di Roma a 7 anni e 2 mesi di reclusione per estorsione e tentata rapina, si difende. Risponde alle accuse dell’Imprenditore Antonello Ieffi, la ‘vittima’. Sottolinea: “Mai dato ordine di uccidere. Credo di essere innocente e lo sosterrò con forza nel giudizio di appello”.
I fatti risalgono al 2013. Tamara, figlia di Massimo Pisnoli, ucciso a colpi di arma da fuoco per motivi legati a una rapina nel 2008 a Roma, avrebbe tentato di estorcere un bonifico di 150mila euro dall’imprenditore Antonello Ieffi, ex di Manuela Arcuri. La Pisnoli e De Rossi, genitori di Gaia, 17 anni, all’epoca si erano già detti addio. Il calciatore aveva iniziato la sua storia d’amore con l’attuale moglie, Sarah Felberbaum, da cui ha avuto altri due figli.
Tamara, entrata in un giro di amicizie equivoche, aveva fatto un investimento per l’acquisto di una licenza per un impianto fotovoltaico, pagando 70 mila euro ai proprietari dei terreni, non alla società di Ieffi, come raccontato dall’imprenditore stesso a La Repubblica. Poi, però, avrebbe deciso di riavere i suoi soldi indietro chiedendo, pare, a Ieffi più del doppio.
Dopo il no dell’imprenditore avrebbe scatenato tutto. La Pisnoli, secondo la ricostruzione della Procura, convoca Ieffi in un bar. Ci sono anche Francesco Camilletti e Francesco Milano. I due oggi sono stati condannati per aver costretto l’uomo a seguirli nell’appartamento della Pisnoli e averlo picchiato. Tutto per riuscire a fargli fare il bonifico richiesto. E’ un pestaggio violento, con calci e pugni: la richiesta arriva fino a 200mila euro. “Portatelo via, fategli fare quel bonifico e poi ammazzatelo”, avrebbe detto la Pisnoli. Ieffi, terrorizzato, si finge morto e viene così abbandonato su un marciapiede. Immancabile la denuncia che si conclude con la sentenza arrivata solo ora.
I legali di Tamara ricorreranno in appello. “La condanna mi coglie assolutamente di sorpresa. E’ una storia che risale a ben 10 anni fa, che comincia con una truffa nei miei confronti e in cui mi riconosco l’unica colpa di frequentazioni sbagliate, da anni scomparse dalla mia vita. Sono colpe che non giustificano una condanna così severa. Sono certa che alla fine del processo la mia buona fede verrà accertata”, commenta lei attraverso gli avvocati.
La Pisnoli poi in una lettera si dichiara innocente: “E’ una sentenza severa, resa da un Tribunale che ho visto attento agli argomenti della mia difesa, ma che, secondo me, è profondamente sbagliata. Io, difatti, credo di essere innocente. E lo sosterrò con forza nel giudizio di appello”
“Mi vengono addebitati alcuni comportamenti (‘Fategli pulire il sangue, portatelo a fare il bonifico e poi ammazzatelo’; poi, ‘Lei dà l’ordine e quelli partono come mastini per picchiarmi’; ancora, ‘Senza battere ciglio ha ordinato di ammazzarmi’), di grandissima rilevanza, eppure mai, mai mai, neppure accennati nei numerosissimi interrogatori fatti dalla parte civile. Interrogatori (che metto a Vostra disposizione) resi ai Carabinieri, ai Pubblici Ministeri, in aula davanti al Tribunale. Dove costantemente, la stessa parte civile, seppure incalzata dalle domande, ha radicalmente escluso che io abbia mai dato ordini o solo incoraggiato gli autori dell’aggressione. Da cui, sia chiaro, ho immediatamente preso le distanze”, chiarisce ancora la donna, oggi sposata con Stefano Mezzaroma, amica da anni di Ilary Blasi e Michela Quattrociocche.
Tamara conclude: “Ecco, la consolazione a tale feroce e menzognera descrizione dei fatti, è che anche tale ulteriore dimostrazione di contraddittorietà, delle dichiarazioni rese nel corso del dibattimento (le interviste saranno allegate dal mio avvocato all’atto di appello), sarà determinante a chiarire l’effettiva comprensione della vicenda. Considerando che anche il Pubblico Ministero, che ha chiesto ed ottenuto la mia condanna, nel corso della sua requisitoria rilevava come nel mio caso la valutazione in ordine alla ‘attendibilità della persona offesa e la sua testimonianza’ fosse un elemento centrale del processo”.